Visioni / IL GIARDINO PER AMICO – NOVE

Dell’ Umanità  – Non scompare un giardino, si cade.

Purtroppo di notte il giardino può fare rumore

L’arnese da taglio lamenta il dolore

L’annaffiatoio di plastica dondola il disagio del vuoto

Il concimatore scricchiola il pezzo di ramo rimasto incastrato nel grilletto

La pala graffia il pezzo di muro che è stato appoggiato

Ci sono farfalle aggressive nel giardino la notte che sembrano elicotteri venuti a piantarti una qualche forma di chiodo nel cervello

Il Cervello frulla allora e non trova gli odori più che lo hanno fatto una donna adulta e sicura 

Sono scomparsi l’odore della terra bagnata stanotte. L’ odore del glicine infestante stanotte. Il gelsomino rigoglioso stanotte, la menta preferita stanotte, la lavanda esuberante stanotte, la mimosa dispettosa stanotte, la cacca dei cani stanotte, gli aghi di pino penetranti stanotte. 

Stanotte il giardino mi priva di me. Per la prima volta mi priva di me. Di una me verissima che aveva cresciuto e mi abbandona che sembra di essere tra le mura di una casa che ti ha ripudiata soffocata misconosciuta offuscato gonfiata scacciata 

No, non è possibile giardino mio, non puoi abbandonarmi cosi, tu proprio tu. Tu che sei la mia simbiosi migliore. Tu che sei l’inno delle mie emozioni semplici, tu che sei il percorso dei miei piedi senza giudizio. 

Tu mi vuoi bene. 

Dovrei avere il coraggio di quei vermi che trovavo nella terra quando a piantare usavo mani unghia e furor di braccia. Avere il coraggio di sparire da ogni luce per cercare il nutrimento, di sparire da ogni suono. Di bagnarmi soltanto dell’umore di un terreno che mi vuole che riconosce che mi fa sentire amata che mi fa amare il mio rotolarmici dentro il mio cercarvi dentro vita movimento e semina. 

Invece inciampo nelle luci di tutti, ancora ! Ma la vita sta finendo, Signora mia. E si è fatta più fitta di cunicoli, di suoni, di immagini a parole e parole a immagini. 

Immortalala, si dice. 

Genico, si dice. 

Sempre a servizio di sguardi altrui, mai come il verme della terra che ha la terra al servizio dello sguardo suo. 

Ancora delle ali, ma non sarà la farfalla aggressiva, il suo sbattere è più deciso, incisivo. Sei tu fagiano dal blu cobalto della mia bella Cleopatra? Sei tu piccione bruno della pelle del mio fragile Spaventapasseri? Sei tu canarino dello splendore della mia incompresa Silia? Sei tu cocorito di una gioiosa lesbica? Sei tu rondine della dolente Emma? Sei tu pappagallo della Sirena? Sei tu candida colomba delle Sposa? E’ la coda imponente di un gufo arrabbiato, l’ho disturbato, mi ci infilo dentro, a quella coda e mi porta su, avvinghiata a lei, lontanano sempre più lontano da questo giardino che non mi riconosco più , lontano in cima alle stelle più belle, morta a tutti, lontano ancora impigliata nelle penne puzzolenti e coraggiose di questo gufo di montagna e vi guardo, voi che pisciate i territori degli altri che disossarli poi ci vuole tempo e fatica e il sogno geme, voi che state tradendo una madre e una figlia e un ricordo e un regalo tutto insieme indistintamente contemporaneamente. Il mio gufo si arrabbia molto a vedervi quasi grugnisce, ma poi canta canta a perdifiato canta come un angelo canta come un carosello canta come me bambina canta stonata e felice canta ubriaco e possente canta canta lirica canta e basta: “ CHIU” e mi butta giù. 

C’è profumo di magnolia adesso stanotte, denso di Umanità,  e siccome comincia a spirare la brezza accosterò le finestre e dormirò meglio, ci sarà meno luce anche, come un verme. 

Ho un livido, le cadute si sa, non passano mai, infondo. Passerà.