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Resti di Umanità. C ) Non più Rito.
Per piangere, ridere, per bisogno di dialogo, la ricerca e la ricerca di inimità.
Sprofondandomi materialmente nella terra, tra le foglie, nella rugiada, e sulle cime di un cespuglio, a caccia di piccole fioriture su muri ostinati.
Cercando Abbracci, donandoli, cercando Carezze e consegnandole, regalando il corpo di me accettando il corpo di loro.
Gettata così, senza più fiato senza speranza se non quella che disegnavano le storie di altri virus ho vissuto gran parte della primavera 2020 tra gli spazi che Natura lascia nel mio Giardino ai corpi degli Umani, per un piede, una mano.
Ho fatto che fosse Lui a sostenere me non io a curare Lui, ho fatto che Lui mi parlasse senza suggerirgli parole.
Mi sono scoperta in simbiosi ma squassata dalla stessa spinta a crescere in modo spontaneo che ogni millimetro Suo possiede, a sentire quelle forze e direzioni alla risurrezione, alla morte, alla bellezza sfornata in mezzo al sole.
Squassata dal confronto con la fatica che, invece, faccio io, adesso. Alla lucidità dell’umidità, alla presenza sempre ostinata. Alla caparbietà, all’ Esistersi.
E mi commuove ampiamente, carezzandomi come di una ferita.
Come una lotta, quasi, ho dovuto spesso fuggire il tempo infinito che mi richiede starci in mezzo, perché altrimenti cancellerei tutto della fisicità e della mia realtà, vizio in cui posso saper cadere; perché il dialogo che avviene lì non ha né inizio né fine e devo interromperlo forzatamente per tornare alla cosiddetta realtà , se no mi ci perderei, e volentieri, sfinendomi di fatica e di sudore, in quella vertiginosa giostra con cui la Natura si rappresenta di per sé.
Il rapporto del Teatro con la Natura ha la stessa età della Terra, poco meno: come rappresentarla, se già lo fa? Quindi, non dirlo? Giovane entusiasta l’ho sempre voluto condividere e sempre ho visto sbarrata la strada.
Era mio e basta? Avrebbe anche questo condotto a questi tempi di solitudine ritrovata, che va riconsiderata? Fatto di una traccia d’impermanenza che non può dirsi, non può allora rappresentarsi da essere Umano? Fatto di una fede in ciò che non si vede, fatto di parole che come queste adesso scorrono via dettate da loro e non da me, fatto di quella danza e bella che ogni cosa altra è un delitto. Ecco il rito, creato, un tempo. Non mi piace più la parola rito, né per il Teatro, né per la Natura. Testimoniare, mi piace. Che esiste una rappresentazione dei dialogo, storia, attimo, gesto, danza, suono, che ci preesiste tutti, Natura stessa. E ci destabilizza, ci scompone l’assetto fisico ed emotivo. Saperne narrare, coinvolgere per riflettere, esprimere, ridisegnare, nella permanenza del Corpo fisico Umano, cioè Testimoniarne, vorrebbe essere parte della Musica che accompagna la Vita, che, quando sa e osa, può Rappresentare.